1437633338-benedetto-croce.webp"Nel luglio 1883 mi trovavo da pochi giorni, con mio padre, mia madre e mia sorella Maria, a Casamicciola, in una pensione chiamata Villa Verde nell'alto della città, quando la sera del 29 accadde il terribile tremoto. Stavamo raccolti tutti in una stanza che dava sulla terrazza della casa di villeggiatura. Mio padre scriveva una lettera, io leggevo di fronte a lui, mia madre e mia sorella discorrevano in un angolo l'una accanto all'altra, quando un rombo si udì cupo e prolungato, e nell'attimo stesso l'edifizio si sgretolò su di noi. In un baleno vidi mio padre levarsi in piedi e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, mi pareva di sognare. Verso la mattina fui cavato fuori, se ben ricordo, da due soldati e steso su una barella all’aperto. Lo stato morboso del mio organismo che non pativa di alcuna malattia determinata e sembrava patir di tutte, la mancanza di chiarezza su me stesso e sulla via da percorrere, gl’incerti concetti sui fini e sul significato del vivere, e le altre congiunte ansie giovanili, mi toglievano ogni lietezza di speranza e m’inchinavano a considerarmi avvizzito prima di fiorire, vecchio prima che giovane. Quegli anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera, posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio».

Così ricorda Benedetto Croce nelle Memorie della mia vita, la tragedia che nel 1883 colpì Ischia. Per novanta lunghissimi secondi, Casamicciola e il resto dell'isola tremarono.  L’ epicentro il paese allora abitato da 4.300 persone e affollato da numerosi esponenti della borghesia del Sud Italia che proprio nella località termale trascorrevano la loro villeggiatura. Tra queste anche la famiglia del futuro filosofo, che nel tragico evento perse i genitori e la sorella.

Piazza-Maio-e-Chiesa-del-Purgatorio-1883.jpgCroce aveva allora 17 anni. Sepolto fino collo, fu estratto dalle macerie dopo una lunga notte di attesa. L’idea del rimorso per essersi salvato sarà una costante, destinata a crescere e accompagnarlo per tutta la vita.

Questa angoscia si proietterà su tutto l’arco della sua giovinezza per poi influenzare tutto il suo pensiero intellettuale.

Croce non tornò mai più a Ischia. Nella sua opera il tema del «terreno traballante» diventerà una metafora importante per capire il mondo e la società. E proprio questa tragedia  che gli cambiò la vita influenzò di conseguenza la cultura italiana. Fino ad allora cresciuto in un’agiata famiglia di proprietari terrieri poco interessata ai temi della politica e della società, fu accolto a Roma, città dal grande crocevia intellettuale ed è proprio qui che nacquero gli stimoli che ne fecero il più influente filosofo del nostro Novecento.

Benedetto Croce fu testimone anche di un altro disastroso terremoto che devastò la città di Messina e la vicina Reggio Calabria il 28 dicembre 1908. Croce si trovava a Napoli al momento del sisma, ma la notizia della tragedia lo raggiunse rapidamente e lo scosse profondamente.

La sua reazione al terremoto fu immediata e coraggiosa: si mobilitò subito per organizzare una raccolta fondi a sostegno dei sopravvissuti e riuscì a far intervenire le autorità locali e nazionali per coordinare le operazioni di soccorso e di ricostruzione. Grazie alla sua rete di conoscenze e contatti, Croce si impegnò personalmente a far giungere alla popolazione colpita dal terremoto i viveri e i medicinali necessari, organizzando la distribuzione degli aiuti.

Ma la risposta di Croce alla tragedia non fu solo pratica e concreta. Infatti, egli si impegnò anche a livello teorico e culturale per fornire una lettura comprensiva della catastrofe e per cercare di trarre delle lezioni da essa. In particolare, scrisse un saggio intitolato "Il terremoto di Messina e la filosofia della storia", in cui analizzò la catastrofe dal punto di vista storico e filosofico.

Secondo Croce, il terremoto di Messina rappresentava un esempio emblematico della "fortuna storica", ovvero della serie di eventi casuali e imprevedibili che condizionano l'evoluzione della storia. Qui sottolineava l'importanza dell'aiuto reciproco e della solidarietà umana in situazioni di emergenza come quella causata dal terremoto, evidenziando l'importanza del valore dell'umanità nel contrasto alla violenza e all'egoismo.

La risposta di Croce alla tragedia dimostra la sua sensibilità umana e la sua capacità di tradurre i valori della cultura e della filosofia in azioni concrete per il bene comune. Il suo impegno per la ricostruzione e la ripresa della vita nella città colpita dal terremoto è un esempio di come la cultura e la conoscenza possano essere messe al servizio della società e della solidarietà umana.